Mentre l’Università di Torino si prepara ad affrontare la sfida di chiudere il bilancio di previsione per il 2025, la situazione si fa sempre più complessa. Con un buco di ben 12,5 milioni di euro, il rettore Stefano Geuna ha deciso di adottare misure drastiche, congelando una parte dei fondi destinati alla ricerca locale. Questa decisione ha sollevato preoccupazioni e malumori, soprattutto tra docenti e ricercatori che si trovano ora a dover affrontare l’incertezza dei loro progetti.
Nell’email inviata ai vari dipartimenti, il rettore ha comunicato che, per garantire la chiusura del bilancio di previsione, i fondi dedicati alla ricerca locale dell’esercizio 2023 e agli esercizi precedenti saranno temporaneamente sospesi. «Restano tuttavia disponibili i fondi assegnati nell’esercizio 2024», ha rassicurato Geuna. Ma cosa significa esattamente questo “congelamento”? Molti docenti che avevano già programmato convegni, acquisti di materiale e borse di studio sono ora in una situazione precaria. Quelli che hanno utilizzato i fondi in passato si trovano in una posizione favorevole; tuttavia, tutti coloro che contavano di finanziare le loro attività di ricerca si trovano a mani vuote. Non è solo una questione di soldi, ma anche di opportunità perdute e di progetti fermi.
Le reazioni alla decisione non si sono fatte attendere. Docenti e ricercatori temono che questa misura avrà ripercussioni durature sulla qualità della ricerca e sull’innovazione. Insomma, la ricerca locale potrebbe subire un colpo significativo in un momento dove l’investimento in scienza e conoscenza è più che mai cruciale. La didattica e la ricerca sono collegate e, congelando i fondi, si rischia di compromettere l’intero sistema, facendo di necessità virtù?
Il costo del nuovo polo di Grugliasco
Ma cosa ha portato a questa situazione economica difficile? Una delle cause principali è l’ingente investimento per la costruzione del nuovissimo Polo di Grugliasco, la così detta “Città delle scienze”. Questo progetto ambizioso prevede la creazione di un campus scientifico alle porte di Torino, ma ha comportato un notevole incremento dei costi: 80 milioni di euro in più. Geuna ha segnalato che questo aumento è dovuto a «due azioni distinte, entrambe necessarie». I primi 40 milioni servono a coprire il “caro materiale” che ha colpito il settore edile in Italia, mentre l’altra metà è necessaria per completare le opere che non erano state finanziate al contratto iniziale.
Questa seconda parte è imprescindibile per dotare il campus di strutture adeguate: aule e laboratori devono essere attrezzati con arredi e servizi funzionanti. Le spese di progettazione e ulteriori lavori sono ora diventati urgenti; senza tutto questo, il campus non potrà essere pienamente operativo. Ecco che il progetto, partito con buone intenzioni, si trasforma in un vero rebus per l’università, che deve far fronte a costi imprevisti e alle potenziali conseguenze negative di un bilancio mal messo.
La questione del ritorno di fondi
Un ulteriore colpo alla stabilità finanziaria dell’Università di Torino è arrivato dalla recente sentenza del Consiglio di Stato. Quest’ultima, in risposta a una causa che risale al 2018, ha costretto l’ateneo a restituire la somma di 39 milioni di euro agli studenti. Ma come si è arrivati a questo punto? L’Università aveva riscosso tasse per un importo superiore a quanto consentito dalla legge. Questo prelievo eccessivo ha portato all’intervento del sindacato studentesco Unione degli Universitari, che ha portato la questione davanti alla giustizia.
Dopo un iniziale verdetto favorevole per UniTo, il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza, un’evoluzione inaspettata che lascia ora l’università con il compito di restituire questi fondi. Le modalità di restituzione rimangono ancora un mistero, aggravando ulteriormente la precarietà economica dell’ateneo e alimentando l’inquietudine tra studenti e personale. Non ci si può aspettare che tutto questo accada senza conseguenze; i docenti, ora più che mai, devono trovare nuove strategie per affrontare le limitazioni imposte, ma le risorse scarseggiano.
La reazione della comunità universitaria
Tutte queste decisioni, giunte all’improvviso, hanno destato un’ondata di preoccupazione, soprattutto tra i ricercatori precari. L’assemblea pubblica programmata per lunedì 16 dicembre al Campus Einaudi si preannuncia infuocata. Con il rettore e il Cda invitati, ci si aspetta un confronto animato. L’assemblea precaria ha già messo in chiaro che questa situazione potrebbe compromettere la carriera, rendendo più complicate le progressioni di carriera e il turnover, già reso difficile dalla riforma Bernini.
Non è una questione solo di budget; è una questione di futuro e opportunità. Gli effetti della attuale crisi finanziaria potrebbero ripercuotersi a lungo termine, creando una generazione di precari che, peraltro, si troverebbe a vivere in una condizione di maggiore incertezza e vulnerabilità economica. Un’atmosfera tesa, quindi, in attesa delle decisioni del Cda che dovrà esaminare il bilancio e affrontare i problemi legati ai nuovi fondi congelati, ma anche alle necessità di una comunità che chiede di essere ascoltata e sostenuta.