In un mondo in cui i progressi scientifici si intrecciano con la necessità di nuove terapie, emergono approcci innovativi che sfidano le convenzioni. Tra questi, l’idea di trasformare i virus, tradizionalmente visti come agenti patogeni, in alleati preziosi nella lotta contro il cancro apre orizzonti sorprendenti. Un team di ricercatori dell’Università di Bologna ha sviluppato una metodologia che sfrutta i batteriofagi, virus che infettano i batteri, per creare nanobioparticelle altamente mirate, capaci di attaccare in modo specifico le cellule tumorali. Questo studio, realizzato nell’ambito del progetto NanoPhage e supportato da Fondazione AIRC, rappresenta una vera e propria rivoluzione nella nanomedicina.
In realtà, l’idea di usare virus in medicina non è nuova, ma questo approccio innovativo propone una sintesi di nanoparticelle più efficiente e selettiva. I ricercatori bolognesi hanno scelto di modificare geneticamente i batteriofagi per creare nanobioparticelle dotate di specifiche capacità terapeutiche. Il professor Matteo Calvaresi, che ha coordinato lo studio, afferma che “abbiamo messo a punto e testato un metodo che sfrutta le proprietà di specifici virus innocui per gli esseri umani”. In questo modo, la scienza si avventura in un territorio affascinante, dove i virus, storicamente considerati nemici, diventano strumenti per combattere malattie, rispondendo a un bisogno urgente di soluzioni efficaci nel campo della salute umana.
La nanomedicina è un campo che da tempo promette risultati strabilianti, attingendo dalle nanotecnologie per migliorare le pratiche cliniche e le terapie. Le nanostrutture, grazie alla loro dimensione ridottissima, offrono la possibilità di amplificare gli effetti terapeutici di molecole come quelle dei farmaci, con un impatto ridotto sugli effetti collaterali. Eppure, gli ostacoli non sono pochi. Come sottolinea Calvaresi, “i limiti delle attuali capacità di sintesi delle nanostrutture” hanno finora frenato il progresso. Infatti, è difficile garantire l’omogeneità delle nanoparticelle, un requisito fondamentale per la loro efficacia.
Per comprendere meglio il problema della sintesi delle nanoparticelle, bisogna immaginare la produzione di oggetti macroscopici come biscotti o palline da tennis, dove gli stampi garantiscono l’uniformità. Nel micro e nanoparadigma, questo approccio non funziona come si dovrebbe. Le nanoparticelle, di dimensioni dell’ordine dei miliardesimi di metro, sono soggette a variazioni di dimensioni e forme, portando a risultati inconsistenti. Tuttavia, la natura offre esempi di come ottenere risultati uniformi: i virus, ad esempio, sono capaci di costruire strutture nanometriche perfettamente identiche attraverso processi genetici. Questa osservazione ha spronato i ricercatori a sviluppare un sistema che utilizza i virus come “stampo”, aprendo la strada a un futuro in cui la produzione di nanobioparticelle possa diventare una realtà concreta.
Partendo dal batteriofago M13, il team bolognese ha “decorato” il capside virale, l’involucro del virus, con molecole che reagiscono alla luce, creando così nanoparticelle utili in ambito medico. Queste nanobioparticelle, una volta attivate, sono in grado di colpire le cellule tumorali senza danneggiare quelle sane, come confermato da Calvaresi. “La nuova nanobiostruttura è in grado di colpire selettivamente le cellule tumorali”, afferma, portando a una speranza rinnovata per le terapie anticancro, caratterizzate da approcci meno invasivi e più accurati.
Nonostante i risultati iniziali siano molto promettenti e abbiano già dimostrato l’efficacia delle nanobioparticelle in laboratorio, è essenziale sottolineare che la strada verso una reale applicazione clinica è ancora lunga. Prima di essere testate sui pazienti, necessitano di ulteriori ricerche e studi approfonditi. I risultati di questo innovativo studio sono stati pubblicati sulla rivista Small e, con progetti come il NanoPhage che continuano a ricevere fondi e supporto, l’aspettativa è che si apra un capitolo nuovo e straordinario nella lotta contro il cancro.