Emoglobinuria parossistica notturna: strategie per un controllo ottimale della patologia

L’Emoglobinuria Parossistica Notturna è una condizione sanitaria poco conosciuta ma che ha un impatto rilevante sulla vita di chi ne è affetto. Per fare luce su questa malattia rara, Novartis ha recentemente organizzato a Milano un evento che ha riunito esperti del settore e rappresentanti dei pazienti. Durante l’incontro, sono stati condivisi importanti approfondimenti scientifici e testimonianze toccanti di chi vive quotidianamente con l’EPN. Questo articolo esplorerà i dettagli di questa malattia ematologica, i progressi nella sua gestione e le nuove terapie emergenti.

Che cos’è l’emoglobinuria parossistica notturna?

L’Emoglobinuria Parossistica Notturna è una patologia rara, cronica e seria. Essa è caratterizzata da una mutazione nelle cellule staminali del sangue, che porta alla produzione di globuli rossi vulnerabili. Questi globuli rossi, privi di protezioni adeguate, vengono distrutti prematuramente dal sistema del complemento. Questo meccanismo porta a un’ematologia complessa che può dar vita a diversi sintomi gravi, tra cui trombosi, anemia e una costante sensazione di stanchezza. Si stima che l’EPN colpisca tra le 10 e le 20 persone ogni milione nel mondo; in Italia, i pazienti diagnosticati sono circa mille. La malattia non ha un’età prefissata per manifestarsi, ma di frequente viene riscontrata in individui giovani, tra i 30 e i 40 anni.

La complessità dei sintomi legati a questa patologia rende spesso difficile una diagnosi tempestiva. Anna Paola Iori, esperta del Policlinico Umberto I di Roma, spiega come l’EPN possa presentarsi in modi variabili, rendendola una malattia subdola. I sintomi, tra cui anemia e stanchezza cronica, hanno un impatto pesante sulla vita quotidiana dei pazienti, che spesso affrontano anni di ritardi diagnostici. Inoltre, è fondamentale che tutti comprendano queste dinamiche per sviluppare terapie più mirate e efficaci.

Le sfide nella diagnosi e nella gestione dell’epn

La diagnosi dell’EPN è spesso un percorso tortuoso. Molti pazienti possono rimanere in balia di una diagnosi errata per anni. Durante l’evento di Milano, Bruno Fattizzo ha spiegato l’importanza di riconoscere il sistema del complemento e il suo ruolo centrale nella patogenesi dell’EPN. Il trattamento della malattia è drammaticamente migliorato negli ultimi quindici anni, ma da tempo restano insoddisfatti diversi bisogni clinici. Gli inibitori del C5 hanno rappresentato un avanzamento significativo; questi farmaci diminuiscono il rischio di emolisi intravascolare riducendo anche l’incidenza di eventi tromboembolici. Tuttavia, nonostante questo progresso, molte persone continuano a vivere con anemia persistente.

Quasi la metà dei pazienti in terapia con C5i mostra ancora segni di anemia, e una buona parte di essi è costretta a sottoporsi a trasfusioni di sangue. Questo stato di cose manifesta la necessità di un’analisi più attenta delle terapie attuali e future. La dottoressa Iori ha messo in evidenza come livelli di emoglobina inferiori a 12 g/dL possano indicare una patologia non ben controllata. Le sfide quotidiane di chi vive con questa condizione non riguardano solo la salute fisica, ma colpiscono anche l’aspetto psicologico e sociale dell’individuo, creando un ciclo di dipendenza dalle strutture sanitarie.

Nuovi orizzonti terapeutici: gli inibitori prossimali del complemento

Un’ala di speranza per i pazienti affetti da EPN arriva dall’innovazione nel campo delle terapie. A maggio, Iptacopan di Novartis ha ricevuto l’approvazione dall’Agenzia Europea per i Medicinali come prima monoterapia orale per il trattamento di adulti con EPN e anemia emolitica. Questo farmaco orale si configura come promettente per quelli che, nonostante i trattamenti tradizionali, continuano a sperimentare sintomi debilitanti. I risultati degli studi clinici Apply-PNH e Appoint-PNH hanno evidenziato come Iptacopan, in monoterapia, riesca a controllare le manifestazioni di anemia e a migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti.

Molti pazienti hanno registrato livelli di emoglobina accettabili, con risultati superiori ai 12 g/dL, senza la necessità di trasfusioni. Una cosa su cui ci si concentra è anche il miglioramento della sensazione di fatica, un aspetto che, come dimostrano le ricerche, influisce profondamente sulla vita quotidiana. La medicina sta cercando di ripensare i protocolli di trattamento, tenendo presente la salubrità del paziente non solo in termini di sintomi fisici ma anche psicologici. Ma, naturalmente, il cammino verso la totale risoluzione dei problemi non è ancora concluso.

In un futuro non troppo lontano, si spera che l’evoluzione delle terapie mirate possa davvero cambiare il paradigma del trattamento per i pazienti affetti da EPN. L’obiettivo finale, sottolineato con forza dalla Chief Scientific Officer di Novartis Italìa, Paola Coco, è vedere i pazienti godere di una vita lunga, produttiva e libera dai sintomi invalidanti. Al momento, è palpabile la determinazione nel voler continuare a innovare e rispondere a quelle necessità che, benché complesse, avrebbero un impatto fondamentale nel migliorare le esistenze di chi combatte con questa patologia rara.

Published by
Ludovica Rossi