Il periodo coloniale italiano in Eritrea, che va dal 1890 fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, rappresenta un capitolo complesso e controverso della storia educativa del paese. Inizialmente, l’istruzione in Eritrea era dominata da istituzioni religiose. Le “scuole del Corano” e le “scuole copte” offrivano un’educazione tradizionale legata alle rispettive fedi, con una netta separazione tra le due comunità religiose, quella cristiana e quella musulmana. Tuttavia, l’arrivo degli italiani portò a un cambiamento significativo nel sistema educativo, marcando l’inizio di un processo di occidentalizzazione e di imposizione culturale.
Prima dell’arrivo degli italiani, i missionari lazzaristi francesi avevano già stabilito una presenza educativa in Eritrea. Nel 1840, iniziarono a istituire scuole, tra cui una scuola per bambine a Massawa nel 1891, finanziata dal governo italiano. Tuttavia, la tensione tra i missionari francesi e le autorità coloniali italiane crebbe rapidamente. Gli italiani desideravano che l’italiano fosse la lingua principale di insegnamento, mentre i missionari si rifiutavano di adottare questa impostazione, portando alla loro espulsione nel 1895. Questo evento segnò un punto di svolta, poiché gli italiani cercarono di prendere il controllo completo del sistema educativo, escludendo qualsiasi influenza esterna.
Dopo la cacciata dei missionari francesi, gli italiani iniziarono a istituire scuole pubbliche che operavano principalmente per la popolazione bianca. La prima scuola pubblica italiana fu aperta ad Asmara alla fine del secolo XIX, con l’obiettivo di servire le esigenze educative degli italiani residenti. Nel 1903, una nuova scuola fu inaugurata, seguita da ulteriori aperture a Keren e Adi Ugri. Queste istituzioni, tuttavia, non erano accessibili ai locali, e il loro curriculum si concentrava su materie come l’italiano, la geografia e l’aritmetica, ma non includeva un’adeguata formazione professionale per gli eritrei.
La vera innovazione nell’istruzione per gli eritrei avvenne solo dopo il 1908, quando il governatore Salvago-Raggi si mostrò favorevole all’inserimento degli eritrei nel sistema educativo. Venne aperta una scuola bilingue a Massawa, con l’intento di formare interpreti e personale per l’amministrazione coloniale. Queste scuole, sebbene inizialmente riservate ai figli di musulmani, iniziarono a includere anche studenti di altre religioni, come i cristiani ortodossi.
Il cosiddetto “Sistema delle arti e mestieri” fu introdotto nel 1909 con la scuola di Keren, dedicata a fornire competenze pratiche e professionali ai giovani eritrei. Questa scuola, così come altre che seguirono, si concentrava su mestieri come falegnameria, meccanica e agricoltura, ma l’educazione rimaneva limitata e finalizzata a produrre una forza lavoro funzionale all’economia coloniale.
Con l’avvento del fascismo negli anni ’30, l’istruzione in Eritrea subì un ulteriore cambiamento. Il regime fascista, con la sua ideologia imperialista e razzista, vedeva nell’istruzione uno strumento fondamentale per consolidare il potere e diffondere la cultura italiana. Vennero promulgati nuovi regolamenti che disciplinavano le scuole, confermando l’importanza dell’italiano come lingua di insegnamento, mentre le materie pratiche venivano enfatizzate a scapito di un’educazione più teorica e critica.
Le scuole italiane in Eritrea divennero un veicolo per l’ideologia fascista, con programmi che includevano la storia italiana e la geografia, presentando l’Italia come portatrice di civilizzazione. Gli studenti venivano istruiti a considerare l’italianizzazione come un processo positivo, mentre il contesto coloniale veniva minimizzato o distorto.
L’educazione sotto il dominio italiano ebbe un profondo impatto sull’identità culturale eritrea. La pressione per assimilarsi alla cultura italiana comportò la perdita di tradizioni e lingue locali. Le scuole italiane tendevano a promuovere un’immagine distorta della storia locale, enfatizzando il ruolo degli italiani come salvatori e civilizzatori. Questo generò tensioni tra le diverse comunità etniche e religiose in Eritrea, alimentando conflitti che avrebbero avuto ripercussioni sul paese negli anni successivi.
Nonostante le restrizioni imposte dal regime coloniale, la popolazione eritrea mostrò un crescente interesse per l’istruzione occidentale. Molti musulmani e cristiani ortodossi iniziarono a riconoscere l’importanza di una formazione che potesse offrire opportunità di lavoro e mobilità sociale. Tuttavia, le scuole rimanevano segregate e non erano accessibili a tutti, perpetuando le disuguaglianze sociali.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la liberazione dall’occupazione fascista, il sistema educativo ereditato dagli italiani si trovò a dover affrontare una profonda revisione. La necessità di ricostruire un’identità nazionale e un sistema educativo inclusivo divenne cruciale per il futuro dell’Eritrea. Le cicatrici lasciate dal colonialismo italiano avrebbero richiesto anni per guarire, ma l’istruzione rimase un tema centrale nella lotta per l’autodeterminazione e la costruzione di una nuova società.
In conclusione, l’istruzione durante il periodo coloniale italiano in Eritrea riflette non solo le politiche imperialiste del tempo, ma anche le complesse dinamiche culturali e sociali che avrebbero plasmato la storia del paese. Le scuole italiane, pur rappresentando un tentativo di occidentalizzazione, furono anche il terreno di una lotta più ampia per l’identità e la sovranità culturale del popolo eritreo.