Il sistema sanitario italiano sta affrontando una crisi profonda, con il personale medico e infermieristico sempre più in difficoltà. Recenti studi suggeriscono che oltre la metà degli operatori è in burnout, una condizione che mette in luce la spinosa problematica della sottovalutazione e dell’abbandono nei confronti di chi lavora nell’ambito della salute. La recente presentazione del III Rapporto sulla ‘Salute e il sistema sanitario’ a Roma ha messo in evidenza assieme a Eurispes ed Enpam, che il quadro è davvero allarmante. Vediamo insomma in modo più dettagliato cosa sta accadendo.
Le statistiche rivelate dal rapporto parlano di un personale dipendente che al 31 dicembre 2022 contava 625.282 unità. Questa cifra è il risultato di politiche di contenimento della spesa pubblica, che si sono tradotte in tagli e riduzioni di personale nel Ssn. Queste misure hanno un impatto non da poco sulla salute mentale e fisica degli operatori sanitari. Il blocco del turnover ha generato infatti una carenza strutturale di personale, obbligando i lavoratori a turni estremamente faticosi, sia fisicamente che psicologicamente. Tra l’altro, una recente indagine condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri ha evidenziato che un medico su due si trova a fronteggiare un burnout, con una percentuale altrettanto preoccupante per il personale infermieristico, che arriva quasi al 45%. Tutto ciò è ancora più accentuato per le donne, che si trovano a gestire non solo le problematiche legate al lavoro, ma anche le sfide della vita familiare, creando una situazione di grande disagio.
Oltre al carico di lavoro e alla pressione psicologica, il personale sanitario deve affrontare un’altra piaga: la violenza sul luogo di lavoro. Le aggressioni nei confronti degli operatori sanitari sono diventate un evento sempre più frequente, con circa 18mila episodi segnalati. È significativo notare che circa il 67% delle aggressioni coinvolge donne e che il personale infermieristico è la categoria più colpita, seguita dai medici e dagli operatori sociosanitari. Questo clima di insicurezza non solo aumenta il disagio per chi lavora negli ospedali, ma contribuisce a far diminuire l’attrattività del Ssn, rendendo difficoltoso il reclutamento di nuove risorse e la permanenza di quelle già presenti. Molti decidono di lasciare il Ssn, cercando percorsi più soddisfacenti nel privato o all’estero, dove la burocrazia è minore e gli orari più flessibili.
In un contesto così complesso, si assiste anche a un cambiamento generazionale significativo tra i professionisti sanitari. Il rapporto fa notare come oggi il 66% degli operatori del Ssn sia rappresentato da donne, un dato che riflette la crescente femminilizzazione della professione. C’è un evidente gap tra le generazioni: i “Baby boomers”, perlopiù uomini, hanno una visione della professione ben diversa rispetto alle generazioni più giovani, come la Gen X e i Millennials, dove la presenza femminile è superiore. Queste ultime tendono a valorizzare aspetti come l’autonomia professionale e la flessibilità, mostrando una propensione a lasciare i posti di lavoro tradizionali per cercare opportunità più gratificanti. La Generazione Z, i nativi digitali, si distingue ulteriormente, adottando un approccio professionale altamente flessibile e mobile, alla ricerca di esperienze lavorative che rispondano meglio alle loro aspettative e ai loro bisogni.
A fronte di tutto questo fermento e cambiamento, la sfida per il sistema sanitario sta diventando sempre più ardua: come trattenere i talenti e garantire un ambiente di lavoro sicuro e motivante per tutti?